22 luglio 2021
Uno dei dubbi di chi si sottopone al vaccino è se questo indurrà nel nostro organismo, come ci si aspetta, una risposta immunitaria tale da proteggerci dall’infezione, e in che percentuale lo farà: c’è chi ricorre al test sierologico per vedere quanti anticorpi il vaccino abbia prodotto, ma il mero dato numerico ha bisogno di un occhio esperto per essere letto nel più corretto dei modi. Abbiamo fatto alcune domande alla dottoressa Daniela Campisi, Responsabile del Settore Immunodiagnostica Infettivologica del Laboratorio di Analisi Chimico Cliniche e Microbiologia dell’Ospedale Niguarda di Milano, per tentare di capire in che modo orientarci al meglio e a che punto è la ricerca, che procede a passi spediti portandoci verso conoscenze sempre più approfondite e in grado di fornirci strumenti sempre più utili per fronteggiare l’emergenza sanitaria.
“Il primo consiglio che mi sento di dare a tutti è quello di affidarsi a un laboratorio accreditato per capire se il vaccino abbia indotto il nostro organismo a produrre gli anticorpi in grado di neutralizzare l’agente patogeno, in questo caso il virus SARS-CoV-2”.
Potrebbe anche accadere che la concentrazione /titolo degli anticorpi prodotti sia basso: fortunatamente accanto a questo primo livello di indagine, il test sierologico, esiste la possibilità di studiare la cosiddetta risposta cellulo-mediata grazie alla quale manteniamo la memoria immunologica in grado di difenderci comunque dalla malattia nel caso incontrassimo di nuovo l’agente patogeno. “Oggi ci sono gruppi di ricercatori al lavoro per capire se questa risposta cellulo-mediata sarà sufficiente ad attivare una risposta difensiva dell’organismo – dice la dottoressa Campisi. - È un fenomeno che si verifica per moltissime infezioni, per questo immaginiamo possa essere così anche per il Covid: esistono infatti nel nostro organismo le cellule cosiddette T della memoria che, una volta incontrato un agente esterno, sono in grado di attivare velocemente le nostre difese immunitarie nel caso in cui lo incontrassimo nuovamente anche in assenza di anticorpi rilevabili“.
Si tratta di uno studio particolarmente importante, soprattutto per quei soggetti fragili – pazienti immunodepressi o oncologici o che hanno subito un trapianto di organo – che potrebbero non sviluppare una risposta anticorpale adeguata: quando anche i valori fossero bassi, occorrerà non fermarsi al mero dato numerico ma valutare la situazione nel suo complesso. Anche perché ad oggi non è ancora stato stabilito il valore del cosiddetto “correlato sierologico di protezione”, ossia la soglia minima di anticorpi necessari per difendersi dalla malattia. “È del tutto normale non avere ancora un’unità di misura internazionale del correlato di protezione, perché sono necessari studi che si perfezionano solitamente in alcuni anni – dice la dottoressa Campisi – al momento infatti i test diagnostici in commercio utilizzano, per misurare gli anticorpi prodotti verso la proteina Spike (proteina della parte esterna del virus) unità di misura arbitrarie con intervalli, valori di riferimento e cut-off (valore soglia) diversi non confrontabili tra loro. Gli studi ad oggi condotti ci dicono che sono gli anticorpi prodotti verso quelle “spine” a proteggerci dall’infezione. Nel mio laboratorio ad esempio utilizziamo un test che ha un cut-off di 50 AU/ml (unità arbitrarie per ml): qualsiasi valore al di sopra o al di sotto di questo valore fornisce un’indicazione chiara circa la mia risposta anticorpale al virus”. Un valore che sarà destinato a decrescere nel tempo, come accade per altri patogeni per i quali esiste un vaccino : “faccio l’esempio dell’Epatite B, per la quale il vaccino fu reso obbligatorio negli anni Novanta: il correlato di protezione è stato fissato a 10 UI/ml, ma nel tempo si è rilevato come soggetti con un titolo inferiore a 10 erano comunque protetti, anche ad anni di distanza dalla vaccinazione, e torniamo al concetto di risposta cellulo-mediata, ossia quella memoria delle nostre cellule in grado di riattivare velocemente la produzione di anticorpi anche a distanza di tempo”. Questo potrebbe accadere anche per la vaccinazione contro il Covid: “nonostante non sappiamo ancora per quanto tempo i vaccini ci proteggeranno, un aiuto ci può venire dai tantissimi studi che sono stati condotto per la SARS-1, che hanno mostrato come la risposta cellulo mediata verso il virus venisse attivata anche a distanza di molti anni” dice la dottoressa.
La dottoressa Campisi è però ottimista sul fatto che i vaccini siano l’arma per bloccare la circolazione del virus e l’emergere di varianti: “nel nostro laboratorio abbiamo rilevato come dopo due dosi vaccinali gli anticorpi anti-Spike vengano prodotti da oltre il 95% dei soggetti vaccinati”. Un’attenzione particolare dovrà essere riservata, soprattutto il prossimo autunno e sul lungo periodo, ai soggetti fragili, il cui sistema immunitario potrebbe rispondere in maniera debole al vaccino: ecco perché i test sierologici rappresenteranno uno strumento di fondamentale importanza. “La ricerca è attivissima in questo momento – dice la dottoressa. – Assieme ad altri colleghi del Niguarda abbiamo aderito a uno studio della durata di un anno per valutare il comportamento degli anticorpi prodotti post vaccinazione. Siamo monitorati ogni tre mesi con un test sierologico: al momento, a distanza di sei mesi, i risultati sono confortanti poiché ognuno di noi ha ancora un titolo anticorpale rilevabile, e l’auspicio è che il risultato resti lo stesso anche a 9 e a 12 mesi”. I test si confermano dunque uno degli strumenti più utili per tenere sotto controllo l’andamento della pandemia. “A mio avviso i sierologici saranno fondamentali nei prossimi mesi per capire per quanto tempo i vaccini ci proteggeranno, se ci possono essere casi di reinfezione, e per valutare la risposta anticorpale nei soggetti più fragili o, tramite appositi test, la loro risposta cellulo-mediata, in modo da consentire loro di svolgere una vita il più possibile normale”. Con l’augurio che la campagna vaccinale proceda speditamente, senza intoppi e con buone dosi di approvvigionamento: “so che un tema caldo è quello delle scuole in quanto luoghi di aggregazione, verso le quali sicuramente è auspicabile un monitoraggio tramite test, sono in sperimentazione test salivari molto promettenti e sicuramente molto meno fastidiosi del tampone rino-faringeo. Credo che abbiamo molti strumenti in più questo autunno per affrontare la situazione, con i vaccini, sperando in un’alta adesione anche dei giovani, e i tamponi, sono certa che possiamo guardare al futuro con cauto ottimismo”.