Cominciamo dalla fine, dicendo che i primi dati confermano che tutti i vaccini attualmente disponibili in Italia sono efficaci contro la variante inglese, che riguarda oggi il 91,6% dei contagi nel nostro Paese.
Per le varianti brasiliana e sudafricana, sono ancora in corso gli studi, ma sembra che tutti i vaccini siano efficaci, anche se forse in misura inferiore.
Della più recente variante indiana si sa ancora poco, ma secondo i primi dati arrivati da Israele e dall’India, sia il vaccino Pfizer-BioNTech che Astra Zeneca sarebbero efficaci contro questa nuova mutazione del virus.
Le aziende che hanno sviluppato i vaccini sono al lavoro per testarli sulle varianti emergenti e nel caso modificarli, cosa per la quale non dovrebbero essere necessarie più di sei settimane.
Ma cosa sono le varianti?
Quando un virus si replica, può modificarsi. Se subisce una o più nuove mutazioni viene indicato come una "variante" del virus originale.
La variante del virus può renderlo più facilmente trasmissibile, può causare una malattia più grave oppure rendere gli anticorpi già prodotti (a seguito di infezione naturale o vaccinazione) meno efficaci nella protezione.
È l’evoluzione delle specie che spinge alle varianti: sono “errori casuali” già conosciuti; proprio per le varianti annuali dei virus dell’influenza servirebbe vaccinarsi ogni anno.
Nel caso del virus Sars-CoV-2, sono state identificate in tutto il mondo centinaia di varianti.
L'OMS e la sua rete internazionale di esperti monitorano costantemente le modifiche in modo che, se vengono identificate mutazioni significative, l'OMS può indicare ai Paesi interventi per prevenire la diffusione di quella variante.
Le varianti a cui si presta maggiore attenzione in questo momento sono quattro: le cosiddette inglese, africana, brasiliana e indiana.
La variante inglese - identificata per la prima volta nel Regno Unito - ha dimostrato di avere una maggiore trasmissibilità rispetto alle varianti circolanti in precedenza, che si traduce in un maggior numero assoluto di infezioni e quindi di casi gravi.
In Italia è dominante e – come detto - rappresenta il 91,6% dei contagi (dato del 15 aprile).
La variante chiamata brasiliana, che in Italia riguarda il 4,5% dei contagi, ha dimostrato una potenziale maggiore di trasmissibilità, ma non ci sono evidenze su aggravamenti della malattia.
La cosiddetta africana è stata scoperta in Sud Africa e, dai primi dati, pare che sia più trasmissibile, ma non è chiaro se provochi differenze nella gravità della malattia.
Nel nostro Paese è presente solo nello 0,5% delle persone contagiate.
La variante indiana, che si sta diffondendo molto rapidamente in India, nasce da un’altra naturale evoluzione biologica del virus, ovvero dalla combinazione di tre mutazioni contemporanee.
Gli scienziati non hanno ancora stabilito se è più contagiosa o pericolosa della versione originale di Sars-CoV-2. È in corso di valutazione anche la risposta di questa variante agli attuali vaccini anti-Covid. Va detto che in Italia al momento (4 maggio) si contano solo tre casi di variante indiana.
Più il virus circola, più aumenta il rischio che si producano nuove varianti. Per questo bisogna contenere la trasmissione seguendo le norme di sicurezza e vaccinando tutti il più presto possibile.
Dai test che comunemente eseguiamo per sapere se abbiamo o abbiamo avuto il Covid, non emerge se il virus da cui siamo stati colpiti è una variante dell’originale Sars-CoV-2. Per far questo va effettuato quello che si chiama “sequenziamento”, cioè un’analisi del DNA del virus.
In Italia sono in atto specifiche misure di controllo e protezione dalle varianti, che vanno dalla maggiore sorveglianza in laboratorio fino alla limitazione degli ingressi dei viaggiatori provenienti dai paesi più colpiti dalle varianti.
Il Ministero della Salute ci ricorda che in ogni caso, tutti – anche chi ha avuto il Coid-19 o si è vaccinato – devono continuare a rispettare le misure di sicurezza: l’uso delle mascherine, il distanziamento fisico e l’igiene delle mani.
Sappiamo quindi che i vaccini sono tendenzialmente efficaci contro le varianti del virus, ma in alcuni casi in misura minore. Come fare allora per verificare se il vaccino su di noi ha fatto effetto?
Grazie al test sierologico – eseguito dopo almeno 10 giorni dalla seconda dose - possiamo sapere quanti anticorpi abbiamo sviluppato e quindi se il vaccino ha provocato la reazione del nostro sistema immunologico.
Possiamo anche verificare nel tempo la permanenza degli anticorpi per seguire l’andamento della nostra probabile protezione.
La partita è lunga, ma con i vaccini abbiamo la certezza di vincerla.